FOOD: FROM FARM TO FORK
Paolo Neri, Relationship Manager Warrant Hub
L’articolo di Forbes che incorona l’Emilia-Romagna come miglior cucina al mondo è ormai noto a tutti: ciclicamente riappare sui principali social network e rimbalza di profilo in profilo a raccontare di qualità e varietà di pietanze e ristoranti. L’aspetto più interessante, a distanza di anni, continua ad essere l’incipit con cui il critico gastronomico David Rosengarten iniziava il suo reportage: “se chiedete ad un italiano dove si trova il cibo migliore, quasi sempre la risposta sarà: da mia madre!”. Non c’è dubbio. Le abitudini e le tradizioni influiscono sulle scelte alimentari di ciascuno di noi fin dall’infanzia, in una sorta di imprinting fatto di ricordi, sapori e profumi che condizionano spesso il nostro modo di nutrirci anche in età adulta. Uno dei principali paradigmi di questo meccanismo è legato al consumo di prodotti tipici locali, che ovviamente, vista la meravigliosa biodiversità italiana, varia di regione in regione, di provincia in provincia. Quello che invece non cambia sostanzialmente mai, è la nostra percezione di sostenibilità legata al consumo di cibo locale, anche a livello transnazionale. Per cui mangiare tortellini a Bologna e foie gras a Parigi rappresenta senz’altro un comportamento virtuoso in ottica ambientale. Questo avviene perché siamo sempre più consapevoli delle problematiche legate ai cambiamenti climatici ed anche senza conoscere puntualmente i dati, ci rendiamo perfettamente conto che la produzione ed il consumo di cibo sono responsabili dell’emissione di gas climalteranti. I dati puntuali parlano di un 25% di gas serra imputabili globalmente alla food production. Le nostre scelte quotidiane hanno dunque un impatto significativo sulla carbon footprint, ma secondo uno studio pubblicato nel 2018 da Joseph Poore e Thomas Nemecek e recentemente ripreso da Hanna Richie e Max Roser, l’impatto ambientale di ciò che mangiamo non è legato principalmente alla sua provenienza. Le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal trasporto rappresentano una quantità minima sul totale complessivo necessario alla produzione ed al confezionamento della maggioranza degli alimenti. Per questo motivo, in una visione complessiva “from farm to fork”, è più importante ciò che si mangia rispetto a dove è stato prodotto. Nel grafico vengono riportate le emissioni GHG di 29 diversi prodotti alimentari, dalla carne di manzo alle noci. Per ogni singolo prodotto è possibile verificare da quale fase della “value chain” derivano le sue emissioni, partendo dal consumo di suolo, fino al trasporto ed all’imballaggio. Complessivamente, gli alimenti di origine animale tendono ad avere un’impronta più pesante rispetto a quelli di origine vegetale. Agnello e formaggio, ad esempio, emettono entrambi più di 20 chilogrammi di CO2 equivalente per chilogrammo. Il pollame e il maiale hanno impronte più basse ma sono ancora più alti rispetto alla maggior parte degli alimenti a base vegetale, rispettivamente a 6 e 7 kg di CO2 equivalente. I trasporti contribuiscono in misura ridotta alle emissioni. Per la maggior parte dei prodotti alimentari, rappresentano meno del 10% delle emissioni complessive. Nella carne di manzo, una delle filiere più impattanti a livello di carbon footprint, l’incidenza del trasporto scende addirittura allo 0,5%. Il Green Deal proposto dalla Commissione Europea per dimezzare le emissioni entro il 2030 e azzerarle nel 2050 cambia in maniera significativa la visione prospettiva di ciascuno di noi, dal momento che diventare il primo continente a impatto climatico zero costituisce contemporaneamente la sfida e l’opportunità più grande del nostro tempo. In questa visione comunitaria di lungo periodo, come cambieranno le nostre abitudini alimentari? La dieta mediterranea è ancora sostenibile? La trazione elettrica potrà essere utilizzata per il lavoro nei campi?
La Ricerca, in generale, potrà aiutare l’intero comparto ad essere meno impattante? L’Italia da questo punto di vista, ha un importante gap da provare a colmare con Horizon Europe, la nuova programmazione comunitaria di fondi per la Ricerca e l’Innovazione per il periodo 2021-2027. Nel nostro Paese, infatti, convive da tempo una forte dicotomia tra l’indiscussa eccellenza della produzione agroalimentare, che ci posiziona in pianta stabile in cima alla graduatoria comunitaria con quasi il 25% dei riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall’Unione europea, e la performance delle nostre infrastrutture di ricerca nell’attrarre quote sempre più rilevanti di fondi comunitari. Attualmente, infatti, l’Italia è al secondo posto in Europa dopo la Spagna, con il 10,4% dei fondi Horizon 2020 sulla tematica Food, ma separata solo di qualche punto decimale da UK, Germania ed Olanda. Il trend è senza dubbio positivo, visto che nel 2013, al termine del 7 Programma Quadro l’Italia occupava la quinta piazza dietro UK, Germania, Olanda e Francia a quota 7,59%. È altrettanto fuori discussione che questa progressione debba essere mantenuta, soprattutto perché i risultati dei progetti di ricerca impattano a livello socio-economico sul mercato con un orizzonte di medio periodo. L’obiettivo è chiaro e sfidante. Lo sviluppo di nuova conoscenza dovrà essere l’ingrediente in più della filiera “farm to fork”, per una produzione di eccellente sostenibilità.
https://ourworldindata.org/food-choice-vs-eating-local#note-2
Autore
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Relationship Manager di Warrant Hub – Tinexta Group e coordinatore del progetto Warrant GARDEN (Green Advanced technology Research and Development Economy), che si occupa della consulenza e dell’orientamento in tema di sostenibilità per le imprese. Laureato in Economia e Gestione delle imprese, dopo un’esperienza in ambito bancario, è entrato in Warrant Hub nel 2003, occupandosi dapprima di Business Development, per poi passare allo sviluppo di partenariati e di relazioni con le istituzioni europee nell’ambito di progetti e programmi UE per la ricerca e l'innovazione. Promotore della Digigreen Innovation e autore di diversi articoli sul tema della transizione digitale e verde, è docente dell’Online Certification Program for Digigreen Professionals del MIP Politecnico di Milano e del Master Executive SUSTMAG di Unitelma Sapienza. Da gennaio 2021 è membro del comitato tecnico scientifico di MADE – Competence Center Industria 4.0.