Dalla CSR alla ISO 26001: strumenti a supporto delle strategie per la sostenibilità

Con l’approvazione del Green Deal nel dicembre del 2019 che prevede il dimezzamento delle emissioni di gas climalteranti entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050, (anche) le imprese sono chiamate a rivedere la propria strategia di crescita alla luce delle politiche che hanno l’obiettivo di stimolare l’uso efficiente delle risorse secondo la definizione di economia circolare proposta dalla Ellen MacArthur Foundation:

un sistema in cui i materiali non diventano mai rifiuti e la natura viene rigenerata. In un’economia circolare, prodotti e materiali vengono mantenuti in circolazione attraverso processi quali manutenzione, riutilizzo, ristrutturazione, rigenerazione, riciclaggio e compostaggio. L’economia circolare affronta il cambiamento climatico e altre sfide globali, come la perdita di biodiversità, i rifiuti e l’inquinamento, dissociando l’attività economica dal consumo di risorse limitate.” (https://www.ellenmacarthurfoundation.org/)

Sono molteplici e sempre più “stringenti” i segnali che indicano la sostenibilità ed il Life Cycle Thinking non più come alternative “etiche” al perseguimento del proprio business ma come un vero e proprio percorso obbligato di cambiamento per il raggiungimento di un obiettivo di sviluppo strategico e sostenibile “buono due volte”: good for enviroment, good for business.

Più di un anno fa ormai, il 16 dicembre 2022, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la Direttiva UE 2022/2464 ovvero direttiva CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive, che introduce nuove regole per il reporting di sostenibilità delle imprese.

Con questo provvedimento, il legislatore europeo ha aggiornato ed integrato quanto già stabilito con la Direttiva UE 2014/95 Non Financial Reporting Directive (recepita in Italia con il Dlgs n. 254 del 2016, nota come Dichiarazione non Finanziaria, DNF) facendo tuttavia un considerevole passo avanti sotto diversi punti di vista.

In primo luogo, già sotto un profilo strettamente formale, la rendicontazione di sostenibilità entra a far parte integrante del bilancio d’esercizio dal momento che dovrà essere inclusa nella Relazione sulla Gestione: all’informativa non finanziaria viene quindi attribuita pari importanza rispetto ai più classici documenti costitutivi del bilancio.

Per quanto concerne il perimetro di applicazione, tale provvedimento ha significativamente esteso il novero delle imprese destinatarie dei nuovi obblighi, comprendendo tutte le Grandi Imprese europee e tutte le società quotate in mercati regolamentati dell’UE (fatta eccezione per le Microimprese quotate). È stato stimato che si passerà da 11.800 a circa 50.000 realtà coinvolte.

Infine, aumenterà la quantità e qualità di informazioni richieste circa gli effetti sulla sostenibilità delle attività svolte seguendo il principio della “doppia materialità”: sia rischi ambientali e sociali a cui le aziende sono sottoposte, sia impatti provocati dalle attività oggetto di impresa sull’insieme dei fattori ESG (Environmental, Social and Governance).

In ogni caso, anche se non direttamente obbligate in questa prima fase, è chiaro che nell’ambito dei sistemi di supply chain sempre più interconnessi e transnazionali, tutte le aziende saranno chiamate a rispondere alle richieste della committenza allorquando, calate in un contesto di subfornitura, le grandi imprese e quotate – obbligate dal 2024 alla rendicontazione ESG – andranno a scaricare sulla filiera i loro obblighi. Un esempio di questo orientamento è rappresentato da una norma in vigore dal primo gennaio 2023 in Germania sulla tutela della catena di fornitura (Lieferkettengesetz, in breve LkSG”). La legge regola la responsabilità delle imprese per il rispetto dei diritti umani nelle filiere di fornitura globali. Ciò include, ad esempio, la protezione dal lavoro minorile, il diritto a salari equi e la protezione dell’ambiente. Imponendo una serie di controlli su come operano i propri fornitori, le nuove regole determineranno sempre più elevati standard di sostenibilità in capo a chi vorrà lavorare con la grande committenza tedesca (vedi ad esempio il comparto automotive).

Ancora, il 22 marzo 2023, la Commissione europea definisce una proposta per l’adozione di criteri comuni per contrastare il fenomeno del greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli. Come si legge sul testo della Direttiva COM 2023/166 “il Parlamento europeo ha sostenuto fermamente l’intenzione della Commissione di presentare proposte volte a regolamentare l’uso delle asserzioni ambientali attraverso la definizione di metodi di calcolo solidi e armonizzati, che coprano l’intera catena del valore. I consumatori desiderano essere maggiormente informati sugli impatti ambientali dei loro consumi e compiere scelte migliori (…) vi è l’invito a una maggiore trasparenza per quanto riguarda la sostenibilità e l’impronta ambientale dei prodotti, in particolare su consumo, imballaggio e produzione sostenibili e sulla definizione di norme all’interno e all’esterno dell’UE nelle politiche ambientali”. Tale proposta va ad integrare l’iniziativa COM 2022/0092 del marzo 2022 sulla “Responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde” che, unitamente a specifiche norme in materia di asserzioni ambientali e divieto generale di pubblicità ingannevole, contiene anche una proposta riguardante norme comuni volte a promuovere la riparazione dei beni ed il contrasto a pratiche di obsolescenza precoce. Si tratta del terzo pacchetto di provvedimenti presi nell’ambito di “A New Circular Economy Action Plan” COM 2020/98 adottato dalla Commissione Europea nel marzo 2022, volto a promuovere la transizione ad una economia fondata sui principi della circolarità.

Parlando di incentivi e stimoli economici, va sottolineato che il 37% dei fondi PNRR sono distribuiti secondo il cosiddetto principio della Tassonomia (Reg. 852/2020 Ue) che definisce criteri precisi per la classificazione delle attività economiche e per la definizione di una iniziativa economica come “ecosostenibile”. Il criterio più importante da rispettare, conosciuto con l’acronimo D.N.S.H. (Do Not Significant Hit) è quello di non arrecare danno significativo a nessuno dei 6 obiettivi ambientali identificati (ovvero: mitigazione dei cambiamenti climatici; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; tutela e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi) e di contribuire in modo sostanziale al raggiungimento di almeno uno dei sei. Inoltre, la recente proposta di rimodulazione del PNRR presentata dal Governo italiano e approvata a fine novembre 2023 da parte della Commissione UE, testimonia la volontà di focalizzarsi ancora di più sui temi della sostenibilità ambientale attraverso il nuovo programma Transizione 5.0 previsto per il biennio 2024-25, grazie ai 6,3 mld messi a disposizione tramite il programma RePowerUE. In base a tale iniziativa le imprese potranno contare su agevolazioni sottoforma di crediti di imposta per il sostegno agli investimenti su progetti di innovazione digitale in chiave “green”. Le aliquote saranno crescenti all’aumentare degli obiettivi di efficientamento energetico che dovranno essere adeguatamente quantificati e certificati.

Il mercato, infine, richiede prodotti più sostenibili: è stato stimato che il 44% dei consumatori italiani attribuisce molta importanza alla sostenibilità ed è disposto a pagare prezzi più elevati per prodotti responsabili (indagine SAP e Qualtrics, 2021), ma sono ormai diverse e sempre più nette le conferme di questa tendenza nei consumi. Attrattività nei confronti di giovani talenti, acquisizione di nuove opportunità di business, differenziazione dalla concorrenza ed incidenza positiva sugli aspetti reputazionali sono, tra le altre, alcune motivazioni che confermano questo scenario come un nuovo “new deal” nel quale ci sentiamo tutti coinvolti.

Passando tuttavia alla concretezza ed alla quotidianità della gestione d’impresa, quali strumenti, modelli organizzativi e metodologie ha oggi a disposizione il management per poter agire secondo i principi di sostenibilità ESG e comunicare correttamente i valori aziendali e le caratteristiche dei prodotti e/o servizi proposti sul mercato? 

Anzitutto, una doverosa premessa: la sostenibilità non vide di assoluti.

Ogni azienda, prima di intraprendere il proprio percorso verso una gestione dei processi secondo i criteri di sostenibilità ESG ed integrarli nella propria strategia di crescita competitiva, è chiamata innanzitutto a identificare i punti di forza, di debolezza e le possibili aree di miglioramento in questo ambito. Oltre ad una prima valutazione o un confronto con i benchmark di settore, c’è bisogno di identificare quali siano le tappe più significative di una roadmap di pianificazione strategica. A questo scopo il 28 dicembre 2023 è stata messa a disposizione da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili la traduzione del documento “Small Business Sustainability Checklist”, realizzato dall’IFAC (International Federation of Accountants).

A seguito di tale analisi, le attività da introdurre per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità potranno essere orientate in diverse possibili direzioni:

  • valorizzazione di soluzioni già implementate o parzialmente implementate all’interno dell’azienda;
  • adozioni di soluzioni significative per il proprio modello di business da acquisire da fonti esterne in quanto non ancora disponibili internamente;
  • ideazione di soluzioni ad hoc, inesistenti sia all’interno dell’azienda che sul mercato;
  • anticipazione di obblighi normativi o di istanze provenienti dal mercato, ottenendo vantaggi competitivi.

In estrema sintesi, le prime domande a cui bisogna dare risposta sono:  

  • A che punto mi trovo?
  • Ho già iniziato un percorso strategico di transizione ecologica oppure me lo “imporranno” i clienti o la catena di fornitura?
  • Qual’è la strada migliore per la mia azienda e per il mio business?

Partendo da un punto di vista più interno alla realtà imprenditoriale fino a considerare l’ambiente esterno ad essa, proviamo a fare una breve – certamente non esaustiva – analisi di alcune prassi e metodologie più diffuse nel mondo aziendale. 

Non si può non partire dalla definizione “aurea”, la prima, la più famosa ed utilizzata definizione di sviluppo sostenibile: la troviamo riportata sul Rapporto Brundtland (dal nome del suo presidente, la ministra norvegese Gro Harlem Brundtland) del 1987, sintesi finale dei lavori avviati 4 anni prima dalla neocostituita Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 

“lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 da 193 Paesi delle Nazioni unite tra cui l’Italia, identifica i 17 obiettivi (o goals, SDGs) da raggiungere in ambito non solo ambientale ma anche economico e sociale entro il 2030 per garantire un futuro migliore al nostro pianeta ed ai suoi abitanti. Vengono per la prima volta formalizzati a livello internazionale i criteri che identificano i 3 pilastri dello sviluppo sostenibile: Enviromental, Social, Governance.

  • La Commissione Europea, già nel 2021, con la definizione di Corporate and Social Responsibility (CSR) ha inteso formalizzare un modello di governance volto ad integrare volontariamente le preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.

L’obiettivo di fondo è la creazione di valore per tutti gli stakeholder visto come il migliore risultato da raggiungere nel compimento del proprio business.

Approfondimenti presenti sul sito ufficiale della Commissione Europea:

https://single-market-economy.ec.europa.eu/industry/sustainability/corporate-sustainability-and-responsibility/supporting-measures-tools-and-studies_en?prefLang=it

  • Abbiamo già accennato al tipo di approccio organizzativo e gestionale Life Cycle Thinking o modello delle “6 R” => Ripensare (riferito alla progettazione dei nuovi prodotti, cd ecodesign), Ridurre (risorse, rifiuti, materie prime), Rimpiazzare, Riciclare, Riparare, Riusare. Tale modello favorisce l’identificazione di soluzioni, più o meno complesse – spesso implementate internamente – per l’adeguamento a criteri di sostenibilità delle attività economiche che vadano oltre la semplice analisi del processo produttivo riferito ad un prodotto/servizio, andandone ad analizzare gli impatti ambientali, economici e sociali durante l’intero ciclo di vita: dall’impiego delle materie prime e risorse energetiche per la realizzazione del prodotto alle operazioni per la produzione, il trasporto fino allo smaltimento finale. Identificare, monitorare e comunicare adeguatamente KPI e parametri di utilizzo permettono a produttori, progettisti, fornitori di servizi e consumatori di operare scelte oculate tenendo conto degli aspetti di sostenibilità (principalmente ambientale) nel lungo termine.
  • Il Life Cycle Assessment (LCA) è il principale strumento operativo con cui viene implementata la strategia LCT. Si tratta di un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione del potenziale impatto ambientale associato a ciascuna delle fasi del ciclo di vita di un prodotto/servizio/processo/attività. Tale metodologia aiuta a comprendere, attraverso le cosiddette “categorie di impatto”, tutti i diversi effetti generati nei vari comparti ambientali. La scelta delle categorie di impatto dipende dallo scopo della LCA: una fra le più considerate c’è l’aumento dell’effetto serra antropogenico (Global Warming Potential), misurata sulla base della quantità di emissioni di CO²eq in atmosfera generate dai consumi di energia e materia prima dentro il ciclo vitale di un prodotto o di un servizio. In questo senso la Carbon Footprint di prodotto (o servizio) rappresenta un sottoinsieme di uno studio di LCA.
  • In tema di monitoraggio, certamente una delle prime attività da valutare potrebbe essere la puntuale rilevazione della modalità e quantità di assorbimento di energia che l’azienda sostiene per alimentare il proprio processo produttivo. Lo svolgimento di una Diagnosi Energetica affidata a soggetti qualificati e condotta secondo i principi contenuti nel Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102 che stabilisce un quadro di misure per la promozione e il miglioramento dell’efficienza energetica a livello nazionale, rappresenta un ottimo punto di partenza anche per quei soggetti che, pur non essendo obbligati (come è per Gradi Imprese ed Imprese cd “energivore”), potranno avvalersi di misurazioni accurate e puntuali per l’efficace attuazione di una politica interna di efficientamento energetico che passi anche attraverso l’investimento su fonti rinnovabili.
  • L’adozione di standard di riferimento volontari, ad esempio le normative ISO e le relative certificazioni, vanno a sancire l’adeguamento a particolari disciplinari a cui le aziende possono sottoporsi al fine di assicurare il consumatore circa il rispetto per la natura, l’ambiente e dare quindi dimostrazione della propria responsabilità sociale. Sono stati mappati più di 29.000 contributi degli standard ISO che vanno a richiamare i singoli 17 SDGs; vi è pertanto ampia “scelta” su criteri e prassi organizzative a cui adeguare sia alcuni aspetti specifici che riguardano il prodotto/servizio sia l’intero assetto organizzativo dell’impresa a seconda della significatività o rilevanza che tali aspetti assumono per lo specifico modello di business. In riferimento all’aspetto dell’onerosità di questo tipo di certificazioni, è stato ormai più volte dimostrato che il prodotto certificato è maggiormente appetibile dal consumatore.
    • Partendo dal perimetro più ampio, la UNI EN ISO 26000 è prima norma di governance che va ad intercettare un approccio olistico, onnicomprensiva di tutte le dimensioni dell’organizzazione; è scritta sotto forma di guida che aiuta le imprese a contribuire allo sviluppo sostenibile andando oltre al mero rispetto delle leggi. Vengono mappati 7 temi fondamentali: 
  1. Governance (anche elementi informali: cultura e valori);
  2. Diritti umani;
  3. Rapporti e condizioni di lavoro (salute e sicurezza, sviluppo risorse umane e formazione: temi con grandi ripercussioni su sostenibilità);
  4. Ambiente (tra cui prevenzione inquinamento e uso sostenibile delle risorse); 
  5. Corrette prassi gestionali (condotta etica nei confronti di altre organizzazioni e stakeholder); 
  6. Attenzione verso i consumatori (comunicazione onesta, protezione salute e sicurezza, protezione dati, consumo sostenibile, educazione e consapevolezza, sistemi di supporto);
  7. Coinvolgimento e sviluppo della comunità (istruzione e cultura, investimenti sociali, creazione di ricchezza e reddito per la comunità in cui si opera secondo il principio Learn, earn, return)
  • UNI EN ISO 14001 (o sistema di gestione ambientale) è un modello ormai abbastanza utilizzato che prevede il miglioramento degli impatti ambientali nell’attuazione dei processi produttivi da parte dell’azienda.

Costituisce un tassello del sistema EMAS (Eco Management and Audit Scheme), strumento più sofisticato che deriva da legislazione europea e promuove un miglioramento continuo delle prestazioni ambientali delle organizzazioni attraverso l’attuazione del sistema ISO 14001. Entrambi i sistemi sono peraltro rilevanti negli appalti pubblici per avere un punteggio più elevato. 

Rientrano in questa categoria anche specifici sottosistemi che fissano i principi, i requisiti e le linee guida per:

  • valutazione del ciclo di vita (LCA),
  • quantificazione e la dichiarazione dell’impronta di carbonio (Carbon Footprint) o dell’impronta idrica (Water Footprint);
  • monitoraggio e la rendicontazione delle emissioni di gas ad effetto serra o dell’aumento della loro rimozione;
  • Etichette e dichiarazioni ambientali, asserzioni ambientali auto-dichiarate e comunicazione delle informazioni sull’impronta ambientale (Footprint);
  • Certificazione “Made Green in Italy” introdotta nel 2015, attualmente non molto diffusa, si ricollega a scelte di economia circolare e Bieconomia (basata su prodotti biodegradabili).
  • UNI/PDR 51:2018 è invece una prassi di riferimento per l’applicazione delle linee guida del modello di responsabilità sociale nell’ambito delle PMI ed Imprese Artigiane. Contiene una serie di indicatori a supporto dell’autovalutazione (rating sociale) delle imprese rispetto alle dimensioni ESG. 
  • UNI/PDR 109.1-2:2021 altra prassi di riferimento che riguarda la definizione delle competenze in capo ai profili professionali nell’ambito della Sostenibilità:
  • Sustainability Manager 
  • Sustainability Practitioner
  • Sustainability Auditor
  • SDG Action Manager (gestisce l’applicazione degli obiettivi SDGs all’interno della struttura);
  • SDG User 
  • Venendo alla corretta comunicazione degli aspetti legati alla sostenibilità, la normativa indica le modalità per la proposizione di claim etici nonchè la produzione di documenti a supporto dei diversi aspetti della sostenibilità. 
  • UNI/PDR 102:2021 è una prassi di riferimento che definisce i principi ed i requisiti per sviluppare e formulare asserzioni etiche di responsabilità per lo sviluppo sostenibile. Si tratta di una prima grammatica comune in materia di ethical claims che comprende le 3 dimensioni della sostenibilità, una procedura sperimentale non ancora consolidata in norma utilizzabile in qualsiasi tipo di organizzazioni per lo stackeholder engagement, la verificabilità del claim e fornisce indicazioni per le asserzioni comparative. 
  • UNI ISO/TS 17033:2020 è una specifica tecnica per la produzione di asserzioni etiche ed informazioni di supporto. 
  • ECOLABEL: è un marchio che definisce prodotti che provengono da procedimenti a ridotto impatto ambientale, introdotto nel 2010. 
  • Il Global Reportig Iniziative (GRI) e l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) sono organismi indipendenti sovranazionali (americano il primo, europeo il secondo) che si occupano di definire modalità e criteri condivisi per aiutare imprese ed istituzioni a identificare e comunicare, attraverso il report di sostenibilità gli impatti delle loro attività su materie come il cambiamento climatico, i diritti umani e diversi altri aspetti inerenti governance aziendale.

Non sfugge, in conclusione, che una delle leve strategiche con cui la Commissione Europea intende affrontare la sfida di diventare il primo continente ad impatto climatico zero entro il 2050, sia la trasparenza, l’accuratezza e la garanzia sulle informazioni rese dalle imprese nel perseguimento della propria crescita competitiva. Tale crescita può quindi essere attuata anche attraverso scelte più sostenibili laddove la sostenibilità non deve essere vista come un fine a sé stante ma come un mezzo per la creazione di ricchezza e valore condivisi.

Autore

  • Walter D’Alò

    Da più di vent'anni nel mondo dei servizi. Ho cominciato il mio percorso lavorativo in una società di credito al consumo per poi occuparmi, da 12 anni a questa parte, della proposta di servizi consulenziali alle imprese su temi legati agli incentivi ed agevolazioni. Ho avuto modo di approfondire e conoscere da vicino le logiche operative tipiche dell'industria manifatturiera alle prese con i cambiamenti e le rivoluzioni digitale 4.0 e "green".

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