Italia al 18° posto nella digitalizzazione: veloci riflessioni.

L’indice DESI (Digital Economy & Society Index) vede nel 2022 l’Italia piazzarsi al 18° posto in Europa; una lettura positiva potrebbe essere quella di considerare che nel 2021 eravamo venticinquesimi (terz’ultimi) e che quindi stiamo migliorando, ma la verità è che c’è ancora molto, moltissimo da fare, soprattutto se rapportiamo questo dato al fatto che siamo ancora la terza potenza industriale europea, ottavi a livello mondiale. 

Proviamo ad individuare alcune delle possibili cause e, se possibile, anche a fornire qualche spunto di riflessione. 

Ci concentriamo per questo breve articolo su tre dati, provando a commentarli: 

  • il 50% delle PMI non considera ancora la tecnologia uno strumento su cui fare leva per crescere (Fonte: Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI); 
  • nell’indice DESI già citato la dimensione in cui siamo peggiori è quella relativa al cd skillsmismatch, cioè alla mancanza di competenze STEM (siamo ultimi in Europa per numero di laureati in materie ICT) per accompagnare le aziende nella loro trasformazione digitale; 
  • siamo abbastanza bravi nell’integrare le tecnologie digitali, molto meno, invece, nel rendere l’interconnessione delle macchine al sistema informativo aziendale utile e ricavare, dai dati, informazioni preziose per l’efficientamento del sistema produttivo 

È ormai provato il fatto che la trasformazione digitale e la trasformazione green tracceranno il confine fra le aziende virtuose che cresceranno e rimarranno competitive, e quelle sempre meno attraenti, spesso destinate alla non sopravvivenza. Pensiamo solo alle nostre abitudini, quanti vanno in vacanza senza visitare il sito web dell’hotel, o senza dare un’occhiata al luogo? Quanti fanno la fila nella biglietteria di una stazione ferroviaria per acquistare un biglietto del treno? La percentuale di clienti che acquista off-line prodotti di ogni sorta, fino anche alla spesa quotidiana, è destinata a crescere o diminuire in favore di acquisti “connessi”? E ancora, per quanto tempo i clienti, che siano privati o aziende del mercato B2B, acquisteranno i prodotti se questi non sono misurati rispetto al loro impatto ambientale e sociale? 

Possiamo pensare che questo non riguardi il nostro business (poi però non lamentiamoci delle difficoltà economiche) oppure considerare il tema prioritario e agire, evitando possibilmente il paradosso di non considerare le cause perché impegnati nel gestire gli effetti. Bisogna investire in tecnologie, non con un approccio fine a se tesso, come accaduto in molti casi di investimenti in beni strumentali nuovi, acquistati ed interconnessi da alcune PMI solo per accedere ad un incentivo (credito d’imposta beni strumentali 4.0, già Iperammortamento), bensì con una strategia precisa, che parta da un’analisi di se stessi e che forte di conoscenze sui trend tecnologici europei, mondiali, e dei mercati così come dell’arena competitiva del settore, porti ad indirizzare gli investimenti di Ricerca, Sviluppo, Innovazione e Trasformazione Digitale in modo semplice, pianificato e organizzato e, soprattutto con obiettivi chiari e misurabili. 

Estremamente rilevante è a mio avviso anche il tema della cosiddetta “UX”, dell’esperienza utente, spesso associata a business B2C, ma sempre più rilevante anche nei processi industriali e B2B, nella servitizzazione dei prodotti, nell’implementazione di nuovi modelli di business e, più in generale in ogni interazione uomo-macchina. E poi l’intelligenza artificiale, per ricavare informazioni dai dati, soluzioni dalle informazioni e conseguenti maggiori ricavi e minori costi. 

Come fare? Le competenze, così come gli strumenti, possono essere acquistate e oggi più che mai sono accessibili. Il contributo della finanza pubblica, sia essa europea o nazionale, è a livelli mai visti. Ci sono investimenti che, posti al centro di un “posizionamento” sulle agevolazioni, vengono finanziati al 60%, 70%, a volte anche 100%. 

Sulle competenze il tema è più complesso e i tempi per un’inversione di rotta decisamente più lunghi; è comunque fuori di dubbio che molti lavori che oggi impegnano milioni di persone non esisteranno più e che molti altri nuovi invece saranno creati. Senza volare però troppo alti, porsi la questione delle competenze dei propri dipendenti non è più questione di “propensione”, è questione di sopravvivenza. È possibile attivare percorsi, interni e/o esterni all’azienda, o ancora individuare-formare-assumere, con un processo collaborativo o addirittura costruire una propria Academy. Anche in questo caso no excuses, Fondi Interprofessionali, Bonus Formazione 4.0 e Fondo Nuove Competenze sono solo alcuni dei tanti strumenti per finanziare queste attività. 

Sul tema della transizione green ho scritto recentemente questo post. 

In conclusione credo che ponendo l’azienda e i suoi progetti al centro sia possibile costruire attorno ad essa un sistema di competenze e finanza, in particolare agevolata, per rendere possibile o accelerare i processi di trasformazione che le sfide attuali impongono alle imprese, così da supportarne prosperità e crescita. Tutto ciò può essere fatto in modo semplice. Non facile, semplice. 

Autore

  • Patrick Beriotto

    Marketing and Communication Director Warrant Hub S.p.A. – Tinexta Group Nato a Bolzano, esperto di finanza agevolata, quindici anni di attività nel settore bancario, prima alle dipendenze del Gruppo Intesa San Paolo e poi presso la Direzione Generale di BHW Bausparkasse AG (Gruppo Deutsche Bank). Approda in Warrant Hub nel 2012, assumendo la responsabilità della pianificazione, sviluppo ed esecuzione delle iniziative di marketing e comunicazione. Profondo conoscitore del Piano Transizione (Industria) 4.0, è relatore in più di 150 convegni e autore di alcuni articoli su questo tema. In questo momento concentrato sullo sviluppo di partnership strategiche finalizzate ad un approccio "di sistema" ai fondi nazionali ed europei per lo sviluppo e gli investimenti delle imprese.

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