Sostenibilità: si fa sul serio?
Walter D’Alò, Warrant Hub Consultant
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Criteri ESG nella valutazione di un investimento.
Sempre più investitori ed aziende prestano attenzione al rispetto dei criteri ESG nel valutare un investimento o la bontà di una iniziativa economica. L’attenzione agli impatti di natura di natura ambientale, sociale e di governance della stessa – oltre che evidentemente l’intrinseco valore economico – è molto aumentato presso i singoli consumatori/stakeholder e ha ultimamente registrato una inedita attenzione fra i legislatori a diversi livelli (europeo e nazionale).
La direttiva UE 2014/95, recepita dal Governo italiano con il Dlgs n.254 del 30/12/2016, è un esempio di come L’Unione Europea abbia inteso aumentare la trasparenza nella comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario introducendo standard minimi di reporting sulle tematiche ambientali, sociali e di governance presso le imprese di grandi dimensioni.
L’interesse verso i parametri e i criteri sostenibilità sta tuttavia diventando sempre più alto anche tra le aziende non (ancora) interessate dall’obbligo della sopracitata normativa, poiché si sta allargando la consapevolezza che il perseguimento di strategie di gestione ESG garantisca un impatto positivo sulla società e sull’ambiente e, di conseguenza, si possa rivelare anche un modo per ottenere un’opinione positiva da parte del pubblico in termini di scelte di acquisto dei consumatori.
Anche l’attività di marketing delle aziende si è fortemente trasformata negli ultimi anni: le decisioni e gli investimenti pensati anche a favore dell’ambiente e della comunità sono spesso diventati il punto focale dell’attività di comunicazione, lasciando quasi in secondo piano qualità e prezzo del prodotto.
Tutto questo comporta di fatto la necessità di nuove scelte strategiche da parte delle aziende nonché un approccio alla gestione del business da rinnovare, spesso ancora in evoluzione. Il protocollo Impresa 4.0, oggi Transizione 4.0 - giunto ormai al quinto anno di vita – ci ha insegnato che l’adozione e l’implementazione di nuovi modelli organizzativi/produttivi ed i processi di transizione che ne seguono, comportano anche dei rischi da non sottovalutare. La capacità di gestione del cambiamento, infatti, entra prepotentemente in gioco dal momento che non tutte le imprese riescono subito ad adattarsi ai criteri Enviromental, Social, Governance (significato dell’acronimo ESG) mentre, in molti casi, sussiste una certa difficoltà nella “messa a terra” di principi – che rischiano di rimanere solo teoriche enunciazioni – così come nella adeguata comunicazione (o disclosure) verso gli stakeholder (interni ed esterni).
Come spesso accade in concomitanza con l’introduzione di nuove best practices, mentre le grandi multinazionali e le aziende di maggiori dimensioni hanno già cominciato ad implementare strategie e reportistiche adeguati, le PMI sono spesso sprovviste di competenze interne e/o chiara consapevolezza dei passi da effettuare per intraprendere il virtuoso cammino verso la sostenibilità.
Sebbene non esista per legge un modello unico a cui attenersi per la redazione di un bilancio di sostenibilità, moltissime realtà seguono le linee guida del Global Reporting Initiative, i cosiddetti GRI Standards. Tale modello è largamente utilizzato in quanto adatto ad ogni tipo di organizzazione, pubblicamente disponibile, internazionalmente riconosciuto e modulabile a seconda dei contenuti da mettere in evidenza.
In questo contesto credo sia crescente e sempre più consapevole l’esigenza da parte delle PMI di essere affiancate e sostenute nel corretto approccio alla implementazione di una strategia volta alla gestione sostenibile, che possibilmente ne contempli la relativa rendicontazione nonché l’appropriata comunicazione.
Se è vero infatti che per redigere un bilancio di sostenibilità seguendo il modello GRI c’è un percorso “guidato” che passa attraverso 6 specifiche fasi, è altresì probabile che – a monte – le imprese abbiano bisogno di supporto per la corretta comprensione ed attuazione di alcune di esse, ad esempio:
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Individuazione fra i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’ONU per il 2030 legati alla sostenibilità, quelli più rilevanti per il proprio business;
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Definizione di un piano di sostenibilità a medio lungo termine che preveda degli obiettivi specifici da monitorare (probabilmente non basta eliminare la plastica nelle macchinette del caffè per potersi definire “azienda sostenibile” …);
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Identificazione di quali siano gli stakeholder chiave da coinvolgere nel proprio piano (clienti, fornitori, risorse interne, PA, ecc.);
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Definizione di parametri quantitativi e KPI che consentano di misurare periodicamente le performance ed il livello di raggiungimento degli obiettivi strategici;
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Allineamento dei processi di reporting (interni ed esterni);
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Affiancamento nella redazione del documento finale ed identificazione della migliore modalità per diffonderlo all’esterno (molte aziende fanno giustamente ricorso ai nuovi canali social e a sforzi di creatività per fare in modo di comunicare i risultati raggiunti in modo semplice e facilmente comprensibile).
Insomma, come spesso accade al cospetto di molte novità, è possibile che le prime reazioni possano essere di attesa piuttosto che sospetto o rifiuto ma diversi indizi ci fanno pensare che si possano dischiudere nuove opportunità per il proprio business.
Non solo in termini di incentivi.
Autore
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Da più di vent'anni nel mondo dei servizi. Ho cominciato il mio percorso lavorativo in una società di credito al consumo per poi occuparmi, da 12 anni a questa parte, della proposta di servizi consulenziali alle imprese su temi legati agli incentivi ed agevolazioni. Ho avuto modo di approfondire e conoscere da vicino le logiche operative tipiche dell'industria manifatturiera alle prese con i cambiamenti e le rivoluzioni digitale 4.0 e "green".
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